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Le ruote di un camion

Sono passati molti anni, ma a volte mi torna in mente una scena reale che ho vissuto in uno dei momenti di abissi più profondi mai conosciuti. Avevo buttato all’aria la mia vita, che pur proprio piatta non lo è mai stata, per un sogno d’amore. Si, ebbene sì, proprio quello stupido sentimento melenso che a volte mi ha preso, anche se scrivo racconti erotici piuttosto scabrosi, sotto anonimato, ho praticato abbondanti immoralità di ogni genere e sono anche andato vicino a zone che di solito portavano ad essere crivellati di pallottole (da cui mi ha salvato il cervello e un po’ di fiuto, vari passi prima di infilarmici).

Quel sogno d’amore era finito in polvere, ero solo in una città che non ho mai amato e le consolazioni a base di scorribande, sesso ed eccessi notturni non fungevano da tranquillanti e ansiolitici all’altezza del compito. Poi avevo anche la brutta abitudine di non voler ingannare le compagne occasionali o di qualche mese, di non voler ferire, di fare del male all’anima, sapendo che è molto più doloroso di una sprangata sulla rotula. E’  una brutta abitudine che ho stupidamente mantenuto, anche se cerco di sbarazzarmene, e magari stavolta ci riesco, ma di questo scriverò un’altra volta.

Stavo attraversando la strada, sulle inutili strisce di quella e di altre città, sprofondato nel mio abisso di disperazione, e con la coda dell’occhio vidi un grosso camion che mi stava venendo addosso. strisceL’uso, arcinoto in terre italiche, è quello di puntare la fastidiosa figura che ti sta facendo perdere una frazione di secondo, in modo da  metterla in fuga, o farla desistere dall’inaudita prepotenza di traversare la strada. Dentro il suo abitacolo, a circa 2 metri di altezza, il guidatore riteneva ovvio l’automatismo per cui lui accelera, o comunque non rallenta o addirittura si ferma, e la strada gli si libera miracolosamente. In una frazione di secondo mi passò molto per la testa: non ci sarà da spiegare ai miei figli il motivo di un gesto, sarà un incidente, e non dovrò trovare il coraggio, di cui non sono mai stato un campione. Non mi fermai, andai avanti, chiudendo gli occhi. Invece del muso e delle ruote di un mezzo da 10 tonnellate mi venne addosso solo il grosso specchio retrovisore destro.  Altro non ricordo.  Ma nessun pentimento o sollievo. Il segno poco sopra la tempia mi rimase per qualche settimana.


Ingmar Bergman (1957)